E in mezzo ad una notte
si mise a tremare ogni cosa:
la città, il buio, il sangue.
Come un giocattolo
nel pugno d'un orfano alterato
si scosse d'un gemito la montagna
e le case delle bambole si sbriciolarono
sotto un balsamo di polvere.
La pelle del mondo cedette,
il ginocchio d'Italia si piegò,
la mappa cangiò
colori e forme,
la terra diventò un mare di guai.
Qui la camera tutta libri
di Via D'Annunzio,
qui la notte bianca cotone
del lungo bacio
in Via dei Torreggiani,
qui il mercato fiorito
fila su fila
di Piazza Duomo,
qui il commercio ammalato
nell'intestino contorto
del Corso -
ricordi di ricordi
frantumati.
Nel tempo d'un ticchettio spiegazzato
ciò che costruimmo gli umani a merletto
ci si alleggerisce feroce,
ci eclissa, ci spazza,
e torna ad insegnarci
che noi non siamo altro che un lampo di fulmine,
un granello di stella,
un puntino di polvere.
Sotto l'orologio spaccato
c'è un'aquila che strilla -
forse perché s'è accorta d'improvviso
che è nata senza ali,
forse perché ha capito
che nelle ampie reti delle stelle
il destino della vita non risiede,
ma invece
nuota, agguata,
scricchiola
impastato nei fanghi
del calderone sgretolante
sottoterra.
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